A cura di
Liceo Artistico Sabatini-Menna
Modera
Ester Andreola
Dirigente scolastico
Pedagogista
A cura di
Alfonso Amendola
Studioso di culture d’avanguardia e consumi di massa
Professore associato di Sociologia dei processi culturali
Università di Salerno
Alfredo De Sia
Grafico
Luca Lanzetta
Esperto in comunicazione multimediale
A cura di
Giuseppe Durante
Designer
Michele Calocero
Fotografo
A cura di
Massimo Bignardi
già Prof. di Storia dell’arte contemporanea
Università di Siena
Sono un designer della comunicazione che opera nel blur tra design e marketing, progetta strategie e prodotti per sistemi di comunicazione con una produzione seriale di tipo industriale. Anche progettare formazione, di cui mi occupo molto, è design. Questo per me, è il design. Ma ormai è più facile dire quando il design non c’è: laddove non c’è intenzionale, consapevole progettazione per la serialità, non c’è design; laddove il progetto non presupponga una intenzionale valenza estetica, non c’è design.
Le immagini che ho selezionato da un archivio di varie decine di migliaia di negativi e file, attraversano un arco temporale che va dagli anni
Settanta agli anni Ottanta, fino a qualche lavoro recente, che mi è sembrato interessante.
Dopo oltre quarantacinque anni il mondo è talmente cambiato – molti non se ne sono accorti – e forse non ha più senso chiamare “fotografie” delle immagini nate con lo scopo di documentare, studiare, capire, le persone, gli eventi, i monumenti, viverli fotografandoli per poi rivedere le immagini e studiare a partire da esperienze vissute. “Io ero lì” è questo quello che mi sembrava importante, quando ero studente dell’Istituto di Storia dell’Arte dell’Università di Salerno, diretto da Filiberto Menna, allora come oggi.
Ho tenuto in un angolo della mente questa mostra, per decenni, e la distanza temporale, alla fine, me le ha fatte considerare con una certa benevolenza, insieme ad una nuova attenzione al senso proprio che ha assunto, oggi, la fotografia. Prima sarebbero state delle fotografie, oggi sono dei “reperti storici” e rappresentano l’itinerario analogico-digitale che vive oggi l’immagine prodotta con un dispositivo.
Oggi la fotografia è totalmente digitale (i nostalgici tecnofobi se ne facciano una ragione); la fase di produzione seriale è scandita da una filiera che non è più lo sviluppo e stampa, ma è ancora molto più complessa di prima e attraversa diverse fasi.
Dell’antica scansione binaria: Ripresa + Sviluppo e Stampa è diventata una ragnatela di momenti, tutti delicatissimi, tutti molto, molto dipendenti dalla tecnologia e dalla capacità di controllarla allo scopo di avere un output che coincida con l’intenzione dell’autore. Anche se l’autore, se appena è un poco consapevole, sa che il lavoro una volta consegnato al sistema dei media non gli appartiene più e va a ricollocarsi in un nuovo senso che è quello del contesto nel quale è inserito.
La mia idea è però che, tutto sommato, resti integra l’originaria scansione binaria, oggi reimpostata in Ripresa e Post-produzione digitale. Anzi credo che il digitale abbia migliorato straordinariamente le fasi della post-produzione, con il rischio (ma anche l’opportunità) che si possa produrre qualunque cosa a partire dai materiali di ripresa. Ci sono autori che si fanno chiamare ancora “fotografi”, per semplificazione e perché non c’è bisogno di spiegare molto.
La fase di post-produzione ha assunto una dimensione che mantiene la ripresa ancora determinante, indispensabile, ma spesso ridotta a semplice strumento per poter disporre di immagini da rielaborare di tutt’altra natura.
La post-produzione oggi è molto interessante, direi determinante e condizionante ed è diventata particolarmente articolata: dal file scaricato in un dispositivo inizia un percorso di rielaborazione dell’immagine, dopo aver scelto lo scatto utile, tra le decine di ogni soggetto ripreso, fotoritocco, rielaborazione, correzione, si può correggere praticamente di tutto: colori, contrasto, densità, saturazione, incrociando i comandi si dispone di una gamma praticamente illimitata di opzioni, ma resta sempre valida la scelta del soggetto e delle condizioni della ripresa. Se, nostalgicamente, resta l’etimologia originaria di “scrivere con la luce”, quello che viene dopo la ripresa è spesso una riscrittura.
Per usare la metafora del video, resta il soggetto, ma cambia e si rivede la sceneggiatura.