Non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che è in gruppo.

I bias cognitivi, l'effetto cheerleader ed altre illusioni

Vuoi sembrare più bello? Fai una foto di gruppo e confida nell‘effetto cheerleader.

Semplificando moltissimo diversi esperimenti, che hanno portato nel 2014  Walker e Vul dell’Università di San Diego in California a pubblicare il noto articolo “Hierarchical encoding makes individuals in a group seem more attractive”, possiamo dire che è scientificamente dimostrato che le persone sembrano più attraenti quando sono in gruppo rispetto a quando sono isolate.

A quanto pare questo effetto è il risultato di tre fenomeni cognitivi interconnessi:

  1. Il sistema visivo calcola automaticamente rappresentazioni collettive dei volti presentati in un gruppo: quando vediamo un gruppo di volti, il nostro cervello crea automaticamente una rappresentazione generale, potremmo dire una “media” dei volti nel gruppo.
  2. I singoli membri del gruppo sono inclini verso questa media collettiva: gli individui nel gruppo tendono a essere percepiti come più simili a questa rappresentazione media del gruppo rispetto alle loro caratteristiche individuali.
  3. I volti medi sono considerati attraenti: la media dei volti nel gruppo è spesso giudicata come più attraente rispetto ai volti individuali dei membri del gruppo.

Sia chiaro, questo effetto non riguarda solo i volti umani, ma si applica anche agli oggetti, come hanno dimostrato in seguito Carragher e colleghi (2018). In breve, vedere più cose insieme ci fa pensare che siano più attraenti, ed è un processo automatico del nostro cervello che fa una media di attrattività tra ciò che vede esposto, ma molto dipendende dalla dimensione del gruppo: più cose ci sono nel gruppo, più tendiamo a considerarle attraenti.

Possiamo estendere l’efficacia dell’effetto cheerleader al più generale funzionamento del cervello e della percezione.

Il nostro cervello tende a raggruppare le informazioni invece di concentrarsi attentamente su ogni oggetto nell’ambiente circostante, al fine di ridurre il carico mentale. Da bravi avari cognitivi, riusciamo così ad elaborare una grande quantità di dati, ma chiaramente a danno di precisione e accuratezza, come dimostrano le illusioni ottiche.

Queste dimostrano chiaramente che ciò che percepiamo non sempre coincide con la realtà. La nostra percezione visiva è influenzata non solo dallo stimolo fisico catturato dai nostri occhi, ma anche dal contesto, dalle aspettative e dalle conoscenze pregresse. Le illusioni possono manifestarsi sia in oggetti inanimati che in quelli animati e sono ostinate anche quando siamo consapevoli che i nostri occhi ci ingannano.

Nell’illusione di Ebbinghaus, per fare un esempio, un punto di dimensioni medie sembra notevolmente più grande quando è circondato da un gruppo di punti più piccoli, ma appare significativamente più piccolo quando è circondato da un gruppo di punti più grandi. 

Una variabile fondamentale, quindi, è certamente il contesto

Le informazioni di contesto possono influenzare la percezione: la presenza di un “viso o carattere speciale” in un gruppo di volti o oggetti, ad esempio, può influenzare il giudizio complessivo sull’attrattività così come assumerà un peso chi occupa la posizione centrale, che diventa “bersaglio”, ovvero il metro per la costruzione del giudizio medio. 

Ora che sappiamo cosa accade, ci chiediamo: ma perché? Restando ad osservare il fenomeno dal punto di vista psicosociale, potremmo ricercare la ragione nel tentativo ancestrale del nostro cervello di comprendere e reagire a quello che sta succedendo intorno in modo euristico, quindi sintetico ed immediato; per cui il nostro cervello automaticamente fa una veloce e sommaria media delle espressioni facciali per creare il senso dell’emozione collettiva e poter reagire di conseguenza. Questo fenomeno, difatti si attiva soprattutto se ci troviamo di fronte a volti che esprimono emozioni e, nel caso di oggetti, diventa rilevante quanto il setting genera delle emozioni nell’osservatore.

Senza dubbio averne consapevolezza ci aiuta a prendere decisioni o valutare l’apparenza in modo più accurato, ma in alcuni casi può essere anche uno strumento di lavoro interessante per chi ha a che fare con l’estetica e la persuasione.

Per quanti si occupano, ad esempio di design e della comunicazione, è possibile sfruttare i bias cognitivi come l’effetto cheerleader in modo strategico nella presentazione ed esposizione dei prodotti. 

Da una parte, ad esempio, presentare i prodotti in gruppo ci permette di valorizzare l’identità  del nostro brand, quindi realizzare esposizioni preferenziali renderà i nostri prodotti più attraenti. 

Dall’altra dobbiamo fare attenzione agli effetti di contesto e scongiurare, ad esempio,  che a scaffale la vicinanza con altri prodotti possa penalizzare le caratteristiche distintive del nostro, nel caso si trovasse per esempio accanto a pack molto più grandi o più piccoli o particolarmente differenzianti che potrebbero cannibalizzare l’attenzione, come visto nell’effetto bersaglio.

Quindi, se vogliamo presentare un prodotto, che si tratti di uno scaffale in un luogo fisico o in quello di un store online, dobbiamo evitare di isolarlo ma fare in modo che sia presentato assieme ad altri così da valorizzarne il più possibile le caratteristiche d’attrattività.

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Note bibliografiche per chi volesse studiare le fonti:

Per chi ha Bassa need for Cognition > un video con la spiegazione di Barney Stinson in How I meet your mother: https://www.facebook.com/watch/?v=2635683160009962

Per chi ha Alta need for cognition > vari articoli scientifici sul tema.

Han S, Hu J, Gao J, Fan J, Xu X, Xu P, Luo Y. Comparisons make faces more attractive: An ERP study. Brain Behav. 2022 Jun;12(6):e2561. doi: 10.1002/brb3.2561. Epub 2022 May 12. PMID: 35546305; PMCID: PMC9226814.

Luo AX, Zhou G. Ensemble perception of facial attractiveness. J Vis. 2018 Aug 1;18(8):7. doi: 10.1167/18.8.7. PMID: 30105386.

Walker D, Vul E. Hierarchical encoding makes individuals in a group seem more attractive. Psychol Sci. 2014 Jan; 25(1):230-5. doi: 10.1177/0956797613497969. Epub 2013 Oct 25. PMID: 24163333.

Carragher DJ , Thomas NA , Nicholls MER . I get more attractive with a little help from my friends: Dual mechanisms underlie the cheerleader effect. September 2018 Journal of Vision 18 (10), 1337-1337

Carragher, D. J., Thomas, N. A., Gwinn, O. S., & Nicholls, M. (2019, October 23). The cheerleader effect is robust to experimental manipulations of presentation time. https://doi.org/10.31234/osf.io/nbc8e

Daria Grimaldi

Partner e Project manger & digital strategist dello studio Blendlab Comunicazione

Docente esterno di psicologia dei gruppi presso Università Suor Orsola Benincasa

Consulente e formatrice in psicologia sociale della comunicazione

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